Tristan da Cunha

Tristan da Cunha

Camogliesi nell’Oceano Atlantico

L’isola di Tristan da Cunha è come un “quartiere” lontano della nostra città.

Un’oasi incontaminata in cui, ancora oggi, abitano i discendenti di due marinai camoglini, Andrea Repetto e Gaetano Lavarello, sopravvissuti a un naufragio.

E la corrispondenza è ancora fervida.

Tristan da Cunha

Camogliesi nell’Oceano Atlantico

L’isola di Tristan da Cunha è come un “quartiere” lontano della nostra città.

Un’oasi incontaminata in cui, ancora oggi, abitano i discendenti di due marinai camoglini, Andrea Repetto e Gaetano Lavarello, sopravvissuti a un naufragio.

E la corrispondenza è ancora fervida.

IL NAUFRAGIO DELLA NAVE “ITALIA”

Era il 3 agosto 1892 quando il Brigantino a palo Italia” carico alla marca di carbon fossile imbarcato a Londra, era partito per il Sud Africa. Era stato costruito a Varazze, nel 1882, nel cantiere B. Cerruti, per conto degli armatori Michele e Andrea Dall’Orso di Chiavari.

Il Capitano Perasso, di Chiavari, aveva iniziato il viaggio seguendo la solita rotta, dapprima pericolosa, nel Mare del Nord e nella Manica, e poi in Atlantico, dove era possibile sfruttare gli Alisei.

Il giorno 28 settembre, l’equipaggio notò che dalla stiva carica di carbone proveniva un fumo verdastro, con emanazioni di gas, segni evidenti di un incendio che covava nel carico.

Capitan Perasso intuì subito il grande pericolo; uno scafo di legno non ha difese contro gli incendi a bordo. Calcolando rapidamente il punto nave, il comandante verificò che la terra più vicina era l’isola di Tristan da Cunha e ordinò di preparare tutto il necessario per abbandonare la nave, cercando di ottenere la massima velocità possibile nonostante l’incendio, per mettere in salvo l’equipaggio.

Fece quindi incagliare, volontariamente, il “suo” bastimento sulle rocce di Tristan, salvando l’intero equipaggio – che fu accolto in amicizia dagli isolani.

IL NAUFRAGIO DELLA NAVE “ITALIA”

Era il 3 agosto 1892 quando il Brigantino a palo Italia” carico alla marca di carbon fossile imbarcato a Londra, era partito per il Sud Africa. Era stato costruito a Varazze, nel 1882, nel cantiere B. Cerruti, per conto degli armatori Michele e Andrea Dall’Orso di Chiavari.

Il Capitano Perasso, di Chiavari, aveva iniziato il viaggio seguendo la solita rotta, dapprima pericolosa, nel Mare del Nord e nella Manica, e poi in Atlantico, dove era possibile sfruttare gli Alisei.

Il giorno 28 settembre, l’equipaggio notò che dalla stiva carica di carbone proveniva un fumo verdastro, con emanazioni di gas, segni evidenti di un incendio che covava nel carico.

Capitan Perasso intuì subito il grande pericolo; uno scafo di legno non ha difese contro gli incendi a bordo. Calcolando rapidamente il punto nave, il comandante verificò che la terra più vicina era l’isola di Tristan da Cunha e ordinò di preparare tutto il necessario per abbandonare la nave, cercando di ottenere la massima velocità possibile nonostante l’incendio, per mettere in salvo l’equipaggio.

Fece quindi incagliare, volontariamente, il “suo” bastimento sulle rocce di Tristan, salvando l’intero equipaggio – che fu accolto in amicizia dagli isolani.

Gli abitanti di Tristan da Cunha, un centinaio di persone di razze diverse, erano abituati a vivere in un ambiente incontaminato e isolato, sfruttando al meglio tutte le risorse che la natura offriva loro.

L’equipaggio, composto da marinai liguri abituati a guadagnarsi il pane quotidiano, per onorare il detto “Mainà nu ghe travaggio che u nu sagge fa”, si mise subito all’opera per ricambiare l’ospitalità. Con il legname recuperato dal relitto costruì un marciapiede lungo l’unica strada dell’isola, costeggiata da semplici baracche, per evitare di calpestare il fango durante la stagione delle piogge. In seguito installò dei recinti dove ospitare il bestiame (soprattutto mucche e pecore per ottenere latte, lana e concime per la coltivazione delle patate, elemento base per l’alimentazione degli isolani) e iniziò a insegnare agli isolani l’uso delle reti e delle lenze recuperate dopo il naufragio del bastimento.

Nei pochi mesi trascorsi sull’isola, i nostri marinai lavorarono fianco a fianco con gli isolani per migliorare le condizioni di vita e favorire lo sviluppo delle loro attività. In due trovarono l’amore e decisero di rimanere sull’isola, continuando il loro lavoro: Andrea Repetto e Gaetano Lavarello.

Grazie al giornalista Josè Crovari, Camogli iniziò uno scambio di informazioni che durò a lungo, consentendoci di seguire – si può dire “quotidianamente” – la vita sull’isola.

In seguito inviammo una cassetta di pronto soccorso in uso sulle navi e un giorno ricevemmo la foto del “Camogli Hospital”. E come non ricordare l’arrivo del Capo isola a Camogli?

Ancora adesso continuiamo a scrivere mail agli amici di Tristan convinti che, in un’isola sperduta nell’atlantico, sia “emigrata” una parte del cuore della nostra città. Gianfranco Repetto, discendente di uno dei naufraghi, nel 2019 si è recato sull’isola. Attraverso le sue foto possiamo raccontare la “Tristan di oggi”.

Gli abitanti di Tristan da Cunha, un centinaio di persone di razze diverse, erano abituati a vivere in un ambiente incontaminato e isolato, sfruttando al meglio tutte le risorse che la natura offriva loro.

L’equipaggio, composto da marinai liguri abituati a guadagnarsi il pane quotidiano, per onorare il detto “Mainà nu ghe travaggio che u nu sagge fa”, si mise subito all’opera per ricambiare l’ospitalità. Con il legname recuperato dal relitto costruì un marciapiede lungo l’unica strada dell’isola, costeggiata da semplici baracche, per evitare di calpestare il fango durante la stagione delle piogge. In seguito installò dei recinti dove ospitare il bestiame (soprattutto mucche e pecore per ottenere latte, lana e concime per la coltivazione delle patate, elemento base per l’alimentazione degli isolani) e iniziò a insegnare agli isolani l’uso delle reti e delle lenze recuperate dopo il naufragio del bastimento.

Nei pochi mesi trascorsi sull’isola, i nostri marinai lavorarono fianco a fianco con gli isolani per migliorare le condizioni di vita e favorire lo sviluppo delle loro attività. In due trovarono l’amore e decisero di rimanere sull’isola, continuando il loro lavoro: Andrea Repetto e Gaetano Lavarello.

Grazie al giornalista Josè Crovari, Camogli iniziò uno scambio di informazioni che durò a lungo, consentendoci di seguire – si può dire “quotidianamente” – la vita sull’isola.

In seguito inviammo una cassetta di pronto soccorso in uso sulle navi e un giorno ricevemmo la foto del “Camogli Hospital”. E come non ricordare l’arrivo del Capo isola a Camogli?

Ancora adesso continuiamo a scrivere mail agli amici di Tristan convinti che, in un’isola sperduta nell’atlantico, sia “emigrata” una parte del cuore della nostra città. Gianfranco Repetto, discendente di uno dei naufraghi, nel 2019 si è recato sull’isola. Attraverso le sue foto possiamo raccontare la “Tristan di oggi”.

“Mainà nu ghe travaggio che u nu sagge fa”