Racconti di terra e di mare
RACCONTI DI TERRA E DI MARE
In questo quaderno abbiamo raccolto alcuni articoli che Gio Bono Ferrari, fondatore del nostro Museo, ha pubblicato sui giornali genovesi, ma specialmente sul “Giornale” di Genova, negli anni 1936-1942.
Il Gio Bono Ferrari aveva già dato alle stampe il suo “Camogli la Città dei Mille Bianchi Velieri” e aveva ottenuto un lusinghiero successo, più di consensi e di critica che editoriale. Il successo era dovuto al fatto che il Ferrari era stato il primo a rendersi conto dell’enorme interesse che poteva avere un periodo di storia epico, pieno di fatti importanti e determinanti, con eventi a livello nazionale e internazionale, tenuto inspiegabilmente nascosto e brutalmente spazzato via dell’avvento del vapore, ma questo successo era anche dovuto alla serietà e alla pignoleria con la quale aveva portato avanti le ricerche e alla possibilità che aveva di controllare direttamente, con i protagonisti ancora viventi, gli avvenimenti.
Per continuare a tener desta l’attenzione del pubblico e anche per portare a conoscenza dei molti appassionati, che dopo la pubblicazione del suo libro erano in continuo aumento, parte del materiale che aveva raccolto, Gio Bono Ferrari iniziò una collaborazione coi giornali pubblicando con una certa frequenza ritratti di vecchi lupi di mare e racconti di vita dei paesi sparsi lungo la costa e nell’entroterra.
E’ una testimonianza preziosa e la fonte di fatti ed avvenimenti che se non fossero stati raccolti con cura e pubblicati, sarebbero spariti per sempre e una parte di un’epoca, pur importante e per Camogli vitale, andata smarrita.
È importante vedere come la passione e l’interesse possano passar sopra al campanilismo e raccontare avvenimenti non solo di Camogli, ma di Recco, di Quinto, di Nervi e Rapallo e di tutti i paesi rivieraschi, nella giusta convinzione che l’epoca eroica della vela era una cosa troppo grande per poter essere assegnata alla sola Camogli, che è stata, è vero, la più importante, ma che si è dovuta servire dei Cantieri di Varazze, di Sestri Ponente, di Recco e di Chiavari, dei marinai delle Riviere e di tutti quegli uomini che hanno provocato e collaborato a provocare quel fenomeno irripetibile di vera potenza commerciale e industriale della Liguria tutta.
Ed è con compiaciuta soddisfazione che l’autore riporta nomi e fatti dell’America Latina basandosi su ricordi resi dai capitani e dai nostromi fonti inesauribili di date, fatti e racconti.
E Gio Bono Ferrari ha attinto moltissimo dai racconti dei protagonisti e molto spesso scrive: il nonno racconta, il vecchio capitano diceva, il nostromo di Capo Horn mi ha confessato… Tutti questi fatti sono portati con scarno racconto, con una lingua che risente del “castellano” parlato per tanto tempo, in Argentina senza nulla aggiungere e cadendo nella retorica soltanto quando parla della bandiera che è sempre bella, sventolante, temuta, come si addiceva ai tempi, è vero, ma come è sempre stata e sempre sarà per gli uomini di mare che sul mare hanno vissuto, sofferto, vinto e perso.
Pro Schiaffino
CAPITAN GEROLAMO FORTUNATO FIGARI
Il capitano Gerolamo Fortunato Figari figlio di cap. Bartolomeo e di Caterina Razeto nacque a Camogli il 1° giugno 1865.
La sua famiglia possedeva due bastimenti: un vecchio brick, “Il Camuin”, che faceva i traffici di Maremma e il “Gerolamo Figari”, un grosso brigantino a palo comandato dal vecchio e oculato cap. Mortola.
Fu su questo bastimento che il ragazzo si imbarca a tredici anni per un lungo viaggio atlantico durato 28 mesi. Dopo di questo un altro viaggio al Pacifico di 25 mesi. Quando ritorna, già marinaio provetto, entra all’Istituto Nautico di Camogli che a quei tempi vantava nientemeno che 380 scolari. Ma, appena finito l’anno scolastico, s’imbarca di nuovo sul “Gerolamo Ferrari” per un viaggio Trapani, Boston, Montevideo, Mediterraneo. Ritorna dopo 18 mesi, frequenta ancora il Nautico camogliese e poi riparte con il brick “Riccardo” che era comandato dal cap. Crovari; al ritorno ancora un corso di nautica. E poi di nuovo l’Oceano, a bordo del grande veliero “Teresa Olivari”, cap. G.B. Corsiglia; scali d’Orano di New York, Alessandria d’Egitto. Ritorno a Genova, dopo 17 mesi si presenta all’esame ed è promosso capitano.
Senza punto sostare si imbarca quale ufficiale sullo ship “De Gregori” comandato del cap. Dellacasa. Viaggi del petrolio a Philadelphia, traversate del legname dai lontani porti del Nord agli scali del Plata. Fu precisamente durante uno di questi viaggi agli ordini del cap. Dellacasa che il Figari ebbe occasione di distinguersi in un pericoloso salvataggio.
Il bastimento camogliese, carico di legname, era uscito da soli tre giorni dalla fiumara quando fu sorpreso da un violento temporale che spinse il bastimento a nord. Al mattino seguente il ciclone si fece ancora più pericoloso e bisognò pensare di alleggerire il barco, gettando a mare parte della “covertada”.
Tutto ad un tratto comparve nella foschia un bastimento inglese, sbandato e con l’alberatura a pezzi; alla murata stavano degli uomini che agitavano degli stracci di vela.
“Bisogna salvarli” disse il capitano camogliese. Un vecchio marinaio, cugino del capitano, si azzardò a dire: “Ma se siamo in forte pericolo noi stessi”.
“Silenzio, a prua”, gridò il nobile cap. Dellacasa. “Mezza guardi alla lancia da sotto vento e pronti alla manovra”. Il barco camogliese diede l’orzata e s’avvicinò al relitto inglese; la lancia salvatrice, comandata dall’ufficiale Gerolamo Figari, si scostò dal barco e s’avviò verso l’eroica ed umanitaria missione. Quando Iddio volle fu di ritorno con sette naufraghi, tre dei quali feriti; dopo mezz’ora il barco inglese, che si chiamava “Wharry” si inabissava nel mare. Quindici giorni dopo il barco camogliese si incrociava con un vapore inglese che dal Venezuela andava in Inghilterra. Cap. Dellacasa trasbordò i naufraghi, consegnando al capitano inglese il verbale del naufragio e del salvataggio. Era stato un nobile ed arrischiato salvataggio. Eppure, chi lo crederebbe? Le autorità inglesi non se ne ricordarono mai e gli audaci marinai camogliesi non ebbero né una medaglia né una menzione onorifica.
Sia permesso a noi, dopo quasi 40 anni, ricordare almeno i nomi del buon capitano Dellacasa, del cap. Figari, del nostromo Gio Batta Gualco di Tommaso e di Caterina Ferretti, che per ben sette ore stette legato alla ruota del timone del “De Gregori” e dei quattro camogliesi della lancia salvatrice: Prospero Schiappacasse, Fortunato Massa, Prospero Olivari e un Bozzo di San Rocco, del quale non si ricorda il nome ma si sa aveva sul braccio il tatuaggio di una ancora e di un cuore.
Gerolamo Figari, ritornato a casa nel 1893 è promosso al comando a parte con l’”Emilia Ferrari”. Due anni dopo lo troviamo a Pensacola sul “Felicina Ferrari”; un lungo viaggio Ceylon-Rangoon durato 30 mesi. Nel 1898 è a Batavia imbarcato sul barco camogliese “Lucco” e l’anno appresso è sulla grande nave “Warrior”, rotta a Pensacola; questo è il suo ultimo viaggio sulle navi dalle grandi e maestose velature.
Al suo ritorno passa sui vapori mercantili, ufficiale sul “Ligure” agli ordini del cap. De Gregori. Nel 1903 è al comando del “Glencarn”; poscia comanda il “Padova” e il “Colomba”. Nel 1904 è al comando del “Carlo V” e quindi sul “Castelluccio”, che tiene per più di due anni. Durante i tre anni della grande guerra comanda ininterrottamente il “Matteo Verderame” e poscia l’ “Aris” e poi il “San Carlo”. Dal 1923 al 1926 comanda di nuovo il “Colomba” per i traffici della Libia e nel 1927 lo troviamo negli scali del Nord-Europa al comando del “Regulus”.
Poi ritorna a Camogli e dà un addio al mare; possiede, come tantissimi altri capitani camogliesi, la medaglia d’argento al merito di lunga navigazione. E della navigazione veramente ne ha a iosa. Perché è dal gennaio 1878 che solca i mari; sono passati quasi 50 anni da quando, in un mattino invernale, aveva salito per la prima volta la biscaglina del veliero camogliese per intraprendere quella lunga carriera marinara che da mozzo l’aveva portato a comandante di velieri prima e di piroscafi poi.
CAPITAN AGOSTINO SCHIAFFINO
Il capitano Agostino Schiaffino, del casato dei “Mabuscou”, nacque a Camogli il 10 ottobre 1807 dal cap. Giuseppe e da Teresa Schiaffino.
Undicenne appena (allora si usava così) è già a bordo della bombarda paterna “La Teresa” che era comandata dal padre.
Viaggi a Candia per carrube e zibibbo; scali di Sicilia per grano di Sciacca e per la manna capace di Gerace; traversate ai porti spagnuoli per la caricazione del sughero e dei pesci salati. Così per anni e anni. Di questa bombarda paterna si hanno notizie fino al 1830, epoca nella quale figura in un documento notarile redatto dal notaro Figari per l’avvenuta morte dell’armatore camogliese Senno. Probabilmente andò perduta in naufragio dopo quell’anno. Mancano perciò le notizie riguardanti i viaggi di questo lupo di mare dal 1833 al 1841. Soltanto in agosto del 1842 troviamo la prima annotazione regolare.
Egli è già armatore di un buon brick, “Il Salvatore”, che comanda di persona per i viaggi del Mar Nero. Un suo vecchio diploma da capitano, firmato dal ministro della Marina, marchese di Villamarina, è datato a Torino il 27 gennaio 1841 e porta il N. 169. Un’altra sua “patente di nazionalità”, assai bene conservata e stesa su un foglio di tutta pergamena, con la testata adorna di una rara incisione in rame, porta la data del 25 settembre 1849. È, questo, un cimelio degno di museo. Ha il timbro reale e “secco” ancora intatto e si fregia delle parole che Sua Maestà Sarda usava per quei legni di Liguria che andavano nel Mare d’Azoff con il “kitach” russo: “Senza frapporgli arresto, ostacolo o molestia alcuna”.
Cap. Agostino Schiaffino fece tutta la campagna di Crimea portando laggiù materiale bellico e riportandone grano. Fece parte di quella eletta schiera di capitani-armatori camogliesi che si resero benemeriti durante quella campagna. Tanto benemeriti che anche Cavour, parlando un giorno con il suo grande amico, l’industriale Bombrini (il confondatore degli Stabilimenti Ansaldo) sentì il dovere di esclamare: “Se i servizi logistici di Crimea sono andati così bene, lo si deve principalmente ai Camogliesi che seppero creare allo Stato Sardo una vera flotta mercantile”.
Cap. Schiaffino tenne ininterrottamente il comando del suo barco, “Il Salvatore”, per ben 21 anni, dal 1842 al 1863.
Come fratello maggiore, aveva ai suoi ordini, quali cadetti od ufficiali, i fratelli minori: Fortunato, che poi un audace capitano, perito in Atlantico nel 1884 al comando del proprio bastimento, “Il Corso”; ed un altro, pure quotatissimo capitano di mare, che poi andò a stabilire una casa navale a Salonicco.
“Il Salvatore” fu quasi distrutto da un temprale nella notte dal 12 dicembre 1862. Nel Santuario della Madonna del Boschetto, a Camogli, esiste l’ex-voto di questo bastimento con la seguente dedica: “Il brigantino ‘Il Salvatore’, capitanato dal cap. Agostino Schiaffino trovavasi il 12 dicembre 1862 a Capo Cercè quando colpito da forte uragano lo minacciò, quasi alla perdita. E per la grazia di N.S. del Boschetto si sono salvati. Il marinaio di bordo Gaetano Schiappacasse dedica il presente voto alla Sacra immagine per la grazia ricevuta”.
Il brick scampò al naufragio totale, ma arrivò in porto in condizioni tali che fu prudente disarmarlo.
Capitan Agostino impostò allora a Chiavari una grossa scuna alla quale diede il nome del vecchio padre: “Giuseppe”. Bella e squisita usanza, quella dei vecchi armatori di Camogli, di imprimere sulla poppa dei barchi il nome propiziatorio dei genitori. Nel 1818 una bombarda, “La Teresa”, trafficava per il Mediterraneo. Oggi, dopo più di un secolo, un grosso vapore delle stesso casato, il “Teresa Schiaffino”, solca gli oceani.
Appena varato il “Giuseppe”, cap. Schiaffino ne prende il comando e parte per l’Azoff. Ma pochi mesi dopo, il 13 novembre 1865, trovandosi con il barco carico di grano nel mare di Spagna, presso Valenza, il bel barco camogliese, nuovo di primo viaggio, viene distrutto da un temporale ed i rottami ed i naufraghi gettati su una spiaggia chiamata Olivas.
Cap. Schiaffino rimpatriò con i suoi fedeli marinai. Ma pochi mesi dopo, con la bella caparbietà dei navigatori di Liguria, imposta sul cantiere di Chiavari una nave-galeotta da 1000 tonn che chiama “Virginia”, il nome della moglie. Ormai sulla sessantina, il tenace lupo di mare e la famiglia lo vorrebbe a casa.
Egli ha un figlio, il maggiore, Giuseppe, che, seppur giovanissimo, è gia capitano abilitato a viaggiare quale scrivano.
Affida dunque il grande veliero al buon capitano Fazio, che ha per secondo il giovane figlio dell’armatore, Pippo Schiaffino. Il barco parte per il Mar Nero per la vecchia rotta del grano di Tangarog. Capitan Schiaffino, “u sciù Agustin”, rimane a Camogli a fare l’armatore. Sarà lui che studierà l’offerta e la contro offerta di noli, mentre i figli navigheranno i mari. Così ancora, per anni e anni per la continuazione tipicamente patriarcale delle tradizioni armatoriali camogliesi. Di padre in figlio. E di figlio in nipote. Così sempre così.
Finchè esisterà il mare….
CAPITAN AGOSTINO SCHIAFFINO
Il capitano Agostino Schiaffino, del casato dei “Mabuscou”, nacque a Camogli il 10 ottobre 1807 dal cap. Giuseppe e da Teresa Schiaffino.
Undicenne appena (allora si usava così) è già a bordo della bombarda paterna “La Teresa” che era comandata dal padre.
Viaggi a Candia per carrube e zibibbo; scali di Sicilia per grano di Sciacca e per la manna capace di Gerace; traversate ai porti spagnuoli per la caricazione del sughero e dei pesci salati. Così per anni e anni. Di questa bombarda paterna si hanno notizie fino al 1830, epoca nella quale figura in un documento notarile redatto dal notaro Figari per l’avvenuta morte dell’armatore camogliese Senno. Probabilmente andò perduta in naufragio dopo quell’anno. Mancano perciò le notizie riguardanti i viaggi di questo lupo di mare dal 1833 al 1841. Soltanto in agosto del 1842 troviamo la prima annotazione regolare.
Egli è già armatore di un buon brick, “Il Salvatore”, che comanda di persona per i viaggi del Mar Nero. Un suo vecchio diploma da capitano, firmato dal ministro della Marina, marchese di Villamarina, è datato a Torino il 27 gennaio 1841 e porta il N. 169. Un’altra sua “patente di nazionalità”, assai bene conservata e stesa su un foglio di tutta pergamena, con la testata adorna di una rara incisione in rame, porta la data del 25 settembre 1849. È, questo, un cimelio degno di museo. Ha il timbro reale e “secco” ancora intatto e si fregia delle parole che Sua Maestà Sarda usava per quei legni di Liguria che andavano nel Mare d’Azoff con il “kitach” russo: “Senza frapporgli arresto, ostacolo o molestia alcuna”.
Cap. Agostino Schiaffino fece tutta la campagna di Crimea portando laggiù materiale bellico e riportandone grano. Fece parte di quella eletta schiera di capitani-armatori camogliesi che si resero benemeriti durante quella campagna. Tanto benemeriti che anche Cavour, parlando un giorno con il suo grande amico, l’industriale Bombrini (il confondatore degli Stabilimenti Ansaldo) sentì il dovere di esclamare: “Se i servizi logistici di Crimea sono andati così bene, lo si deve principalmente ai Camogliesi che seppero creare allo Stato Sardo una vera flotta mercantile”.
Cap. Schiaffino tenne ininterrottamente il comando del suo barco, “Il Salvatore”, per ben 21 anni, dal 1842 al 1863.
Come fratello maggiore, aveva ai suoi ordini, quali cadetti od ufficiali, i fratelli minori: Fortunato, che poi un audace capitano, perito in Atlantico nel 1884 al comando del proprio bastimento, “Il Corso”; ed un altro, pure quotatissimo capitano di mare, che poi andò a stabilire una casa navale a Salonicco.
“Il Salvatore” fu quasi distrutto da un temprale nella notte dal 12 dicembre 1862. Nel Santuario della Madonna del Boschetto, a Camogli, esiste l’ex-voto di questo bastimento con la seguente dedica: “Il brigantino ‘Il Salvatore’, capitanato dal cap. Agostino Schiaffino trovavasi il 12 dicembre 1862 a Capo Cercè quando colpito da forte uragano lo minacciò, quasi alla perdita. E per la grazia di N.S. del Boschetto si sono salvati. Il marinaio di bordo Gaetano Schiappacasse dedica il presente voto alla Sacra immagine per la grazia ricevuta”.
Il brick scampò al naufragio totale, ma arrivò in porto in condizioni tali che fu prudente disarmarlo.
Capitan Agostino impostò allora a Chiavari una grossa scuna alla quale diede il nome del vecchio padre: “Giuseppe”. Bella e squisita usanza, quella dei vecchi armatori di Camogli, di imprimere sulla poppa dei barchi il nome propiziatorio dei genitori. Nel 1818 una bombarda, “La Teresa”, trafficava per il Mediterraneo. Oggi, dopo più di un secolo, un grosso vapore delle stesso casato, il “Teresa Schiaffino”, solca gli oceani.
Appena varato il “Giuseppe”, cap. Schiaffino ne prende il comando e parte per l’Azoff. Ma pochi mesi dopo, il 13 novembre 1865, trovandosi con il barco carico di grano nel mare di Spagna, presso Valenza, il bel barco camogliese, nuovo di primo viaggio, viene distrutto da un temporale ed i rottami ed i naufraghi gettati su una spiaggia chiamata Olivas.
Cap. Schiaffino rimpatriò con i suoi fedeli marinai. Ma pochi mesi dopo, con la bella caparbietà dei navigatori di Liguria, imposta sul cantiere di Chiavari una nave-galeotta da 1000 tonn che chiama “Virginia”, il nome della moglie. Ormai sulla sessantina, il tenace lupo di mare e la famiglia lo vorrebbe a casa.
Egli ha un figlio, il maggiore, Giuseppe, che, seppur giovanissimo, è gia capitano abilitato a viaggiare quale scrivano.
Affida dunque il grande veliero al buon capitano Fazio, che ha per secondo il giovane figlio dell’armatore, Pippo Schiaffino. Il barco parte per il Mar Nero per la vecchia rotta del grano di Tangarog. Capitan Schiaffino, “u sciù Agustin”, rimane a Camogli a fare l’armatore. Sarà lui che studierà l’offerta e la contro offerta di noli, mentre i figli navigheranno i mari. Così ancora, per anni e anni per la continuazione tipicamente patriarcale delle tradizioni armatoriali camogliesi. Di padre in figlio. E di figlio in nipote. Così sempre così.
Finchè esisterà il mare….
CAPITAN NATALE MORTOLA
Buon ceppo di gente marinara, quello dei Mortola di Camogli. Duecento anni fa era ancora una grossa famiglia, cementata da vincoli di parentela di terza e quarta generazione. I più vecchi si chiamavano ancora “Cuxi”. Poi i vecchi rami provenienti dalla località Mortola avevano, come le radici di un tronco centenario, preso direzioni diverse. Tanti naviganti, di quelli che già nel ‘700 correvano il Mediterraneo con feluche e sciabecchi, avevano portato le famiglie al basso, comprando un “mezzano” come allora si diceva, per allogarvi la famiglia crescente. Un ramo si stabilì nell’Isola, un altro nello “Scalo” che allora era orto e due altri rami su per le erte case della Fontanella.
Nelle ville del Rissuolo, oltre le proprietà che erano allora dei nobili Da Camogli, i Mortola del casato dei Liggia, che già nel 1750 erano armatori di pinchi e di bombarde, costruirono le loro case che ancor oggi esistono. Da questo casato discende cap. Luigi Mortola che al comando dello ship “Angelo” fu il primo capitano italiano che fece conoscere la nostra bella bandiera nel lontano porto di Macassar.
Altri Mortola, a detta dei più vecchi camogliesi, possedevano delle case in via Garibaldi, accanto alle case padronali che nel ‘700 erano dei Belviso. Nella località Mortola, a detta sempre dei nostri vecchi, rimasero due rami di questo casato. E quei rimasti non si dedicarono al mare bensì alla fabbricazione, con telai propri, dei rossi damaschi di seta, così in voga nel ‘700.
Poi, con l’andar degli anni, i figli dei figli di questi tessitori di damaschi e di broccatelli d’oro discesero al Molino dei Mori. E ripresero la via degli antenati: quella del mare. Passarono ancora gli anni. Poi, nel decennio che va dal 1820 al 1830, due fratelli di questo ramo, che al tempo napoletano avevano viaggiato i mari di Spagna e mercatato in olio e granaglia nei porti spagnoli, partirono con le loro barche e la figliolanza e se ne andarono a Malaga ove con gli anni fondarono fondachi di commercio.
Si seppero fino al 1860 notizie di questi Mortola. Poi i vecchi morirono e i sentimenti di parentela s’affievolirono.
L’Ultima notizia precisa la si ebbe in occasione della morte di una Pellegrina Mortola. A oggi i discendenti dei camogliesi si chiamano Mortolas e ve ne sono medici, ingegneri e negozianti.
Un cugino dei partiti per la Spagna nel 1820, rimasto solo a Molino, se ne venne a Camogli accasandosi con una ragazza dei Giani. Mise casa a Fontanella, nella proprietà dei Misciallo e di questo casato, che già allora possedeva vari bastimenti ed era di molto censo, comandò come “padrone” un pinco che faceva i viaggi di grano dalla Sicilia alla Provenza. Da questo navigatore discende il capitano Natale Giacomo Mortola di cap. Francesco e di Valle Maria, nato a Camogli il 25 dicembre 1866.
A dieci anni precisi, finite le scuole, egli è già un mozzo, imbarcato su uno di quei velieri camogliesi che a quei tempi detenevano il primato della navigazione e trasporto dei grani duri di Tangarog e di Nicolayeff. Il giorno 13 aprile 1870 si ancoravano davanti a Costantinopoli per pagare la dovuta tassa del “Firmàn” ben 153 bastimenti mercantili di differenti bandiere. Orbene: di questi 153 grandi bastimenti granari, ben 51, dicesi cinquantuno, erano bastimenti camogliesi, comandati da capitani camogliesi! Queste cose noi non ci scorderemo mai di ripeterle. Beninteso non per spirito di piccolo campanile, ma per proclamare sempre, davanti a tutti gli stranieri, la grandezza marinara e armatoriale degli Italiani!… “Gino, erano grandi e là non eran nati…” scandiva un grande poeta italiano. Ed aveva tanta, tanta ragione!
Il piccolo Mortola, appena decenne, conobbe anche lui l’ancoraggio del Bogazzo e le crudeli tempeste del Mar Nero. Nel maggio del 1876 egli è a Constantinopoli sul brigantino “Giuseppe” comandato dal cap. Marciani Fortunato con il quale navigava fino al 1878. In aprile di detto anno cap. Marciani è sbarcato quasi morente a Berdiansck ed il ragazzo ritorna in patria con il bastimento comandato dal secondo di bordo Olivari. Nel 1879 il Mortola frequenta il primo anno di nautica. Ma, ritornato da Berdiansck, ormai ristabilito, il buon cap. Marciani lo vuole nuovamente a bordo con lui, sul ship “Buon Parenti” del quale aveva ottenuto il comando. Un lungo viaggi durato trenta mesi e 23 giorni, con scali al Pacifico, a Montevideo e a Marsiglia.
Quando ritorna nel 1882, è un ometto e di pratica marinara ne ha già tanta.
Frequenta, profittando dei mesi invernali, il secondo anno di Nautica. E poi, promesso, riparte ancora con lo stesso capitan Marciani, che nel frattempo aveva avuto il comando dell’”Idar”.
Così, viaggiando e studiando, prima dei vent’anni è capitano. Negli anni seguenti è sempre agli ordini di cap. Marciani e naviga sui bastimenti camogliesi “Nicolò Padre” e “Inedora”. Nel 1890 naviga quale secondo sulla nave goletta “Giuseppe”, al comando di cap. Marciani.
E con il suo vecchio capitano seguita a percorrere i mari fino a che gli armatori Biagio e Luigi Mortola non gli offrono il comando dell’ “Aline”, un bell’alcione adibito ai traffici generali. La vita marinara di cap. Natale Mortola si potrebbe condensare in una sola ma bellissima parola: fedeltà. Infatti egli fu dai 10 ai 28 anni il fedele mozzo, marinaio ed ufficiale del vecchio cap. Mariani Fortunato. E poi per altri vent’anni fu il fedelissimo capitano degli armatori Mortola, comandandone sempre l’ “Aline”, per i viaggi oceanici. Noi lo ricordiamo sempre, il buon cap. Natalino Mortola, quando da Mobile o da altre rade americane arrivava a Buenos Ayres con un carico di legname. Ci par ancora di vederlo, il bianco “Aline” con tutti i suoi bronzi lucenti, quando s’attraccava lungo il molo Pedro de Mendoza.
Una volta, e questo suona a orgoglio per la marinara Camogli, si trovarono contemporaneamente alla “Vuelta del Riachuelo” ben quattordici grandi bastimenti camogliesi sotto scarica.
Alcuni erano consegnati ai grandi mercatanti di legname Cichero, nativi di Recco. Altri scaricavano per conto di luan losè Drysdale o di A. Mantels e C. E per noi ragazzi era una vera festa perché, alla domenica specialmente, passavamo dal bordo di uno al bordo dell’altro bastimento, salutando uno o l’altro. E ci pareva, lo ricordiamo, di trovarci non sulla tolda delle navi, ma a Camogli. Dei quattordici capitani camogliesi trovatasi tutti assieme a Buenos Ayres, ricordiamo ancora i seguenti nomi: Natale Mortola che comandava l’ “Aline”, Santino Brigneti che comandava un’altra grande nave, Giuseppe Schiaffino che comandava l’ “Ottone”; cap. Olivari che comandava l’<> e con capitano Mortola che comandava l’ “Agostino Repetto”. V’era anche un altro bel bastimento dallo scafo nero e verde, del quale non ricordiamo più il nome ma che era comandato da un carissimo amico di nostro padre che gli altri capitani chiamavano con il diminutivo di Treggia e che era tanto buono.
Ai primi del 1914 cap. Mortola, ritornando da un lunghissimo viaggio, trovava la casa in lutto. La sua dolce compagna se ne era andata per sempre lasciandogli una nidiata di piccole figliole. Onde poter essere a casa più sovente, egli lasciava, dopo vent’anni, il comando della sua bella nave ed iniziava i viaggi sui vapori mercantili. Pur navigando sempre sulla rotta dell’Inghilterra, ebbe fortuna durante i due primi anni della guerra mondiale. Ma il 30 giugno 1917, trovandosi quale primo ufficiale sul piroscafo “Phoebus”, capitano Edoardo Figari e capo macchinista Francesco Ladorini, il vapore veniva silurato e affondato a 135 miglia all’Ovest della costa d’Irlanda. Cinque uomini, fra i quali un buon fuochista di Recco, vi lasciarono la vita. Dopo 56 ore di navigazione nelle lance, ed esausti perché privi di alimenti, furono raccolti da un vaporetto belga, l’ “Isa”, e condotti a Berhaven. Capitan Mortola rimpatria e pochi giorni dopo, il 24 agosto 1917, lo troviamo a Savona per prendere il comando del piroscafo “Virginia” con il quale naviga ininterrottamente fino al Natale del 1920.
Quindici giorni dopo, in alto mare, è colpito da grave malore. Sbarcato a Livorno arriva a Camogli quasi contemporaneamente alla medaglia d’argento che il Ministero della Marina gli aveva mandato in premio della sua lunga e onorata navigazione.
Da quel giorno cap. Natalino Mortola visse per le sue figliole. Lo ricordiamo nella sua casa, in quel suo cantuccio preferito, ove aveva radunato il quadro dell’ “Aline” ed i suoi ricordi marinareschi.
E lo ricordiamo in piazza Schiaffino, seduto all’ombra del grande ippocastano.
Sempre con quel suo sorriso buono e profondo; con quegli occhi che parea guardassero lontano, lontano: verso i mari e gli oceani. Così, serenamente, a una triste giornata del 1924…
POESIA DEI VECCHI BASTIMENTI MERCANTILI
“Ecco ancora – proseguì il vecchio lupo di mare – l’antico quadro del bastimento ‘Troyan’ degli armatori camogliesi Biagio e Luigi Mortola, i ‘Liggia’. Molti anni fa, quando nel Canadà si iniziò la grande industria del legname, detto bastimento accettò un nolo per uno dei nuovi porti sorti nell’interno del fiume.
Giunto nei pressi di Gulf-Port, trovò alla fonda tre navi, una francese, una inglese e una svedese, i capitani delle quali s’erano rifiutati di proseguire perché, dicevano, avrebbero certamente investito sui banchi di sabbia. Il capitano camogliese Filippo Avegno che comandava il “Troyan” dichiarò che egli, previ sondaggi, avrebbe tentato di entrare nel nuovo Porto.
Per vari giorni lo si vide scandagliare e fare rilievi, finchè un bel mattino, col gran pavese a riva e manovrando come sanno manovrare i marinai d’Italia, rimontò la sconosciuta fiumara ed entrò a vele spiegate nel nuovo porto, gettando sul vergine molo – primo tra tutti – le sonanti catene del barco camogliese.
Lo sceriffo della regione dichiarò cap. Avegno ospite onorario di Gulf-Port, mettendo inoltre a sua disposizione la carrozza ed i valletti del municipio. (Ad onore del capitano camogliese si può aggiungere che le autorità di Gulf-Port si servirono degli scandagli e dei suoi rilievi per compilare la carta nautica della fiumara).
Quell’altro bastimento è stato donato dal cap. Fortunato Razeto, il protagonista del coraggioso salvataggio dei marinai del “Nemesi” e che fu colui che per primo fece conoscere la bandiera d’Italia nel Porto di Endem.
Ecco laggiù il bellissimo “Fratellanza” dei De Gregori. Ai suoi tempi fu uno dei più veloci e rinomati alcioni del mare.
Nelle traversate di Rangoon egli accettava sempre la sfida dei grandi Clippers inglesi, a chi arrivasse prima al Nord-America. Ed il bastimento camogliese, in lotta cavalleresca, arrivò sempre primo. Si perdette, un inverno, nell’Oceano Indiano. I naufraghi, dopo aver percorso 600 miglia con le lance, approdarono ad un’isola di cannibali.
Dovettero asserragliarsi sulla costa, in caverne naturali, e difendersi per ben tre mesi dalle insidie dei selvaggi; furono poi salvati da una cannoniera francese. Fra quei naufraghi che per novanta giorni mangiarono molluschi e radici v’era il capitano Simone Marini ancora vivente ed al quale, dalle colonne del “Genova”- giornale marinaro – mandiamo un deferente saluto.
Quell’incisione rappresenta la scuna paterna sulla quale Simone Schiaffino l’alfiere dei Mille navigò fanciullo e poi baldo ufficiale fino a quando sui campi lombardi non suonò la diana del 1859.
Nell’altra sala si conservano il suo cinturone da ufficiale, la sua sciabola e una pietra che un capitano di mare camogliese raccolse a Calatafimi nel posto ove l’eroe cadde, in difesa di una bandiera e di un’idea!
Quell’altro piccolo quadro riproduce il “N.S. delle Grazie”, del camogliese cap. Bartolomeo Casabona. Giuseppe Garibaldi nelle sue “Memorie”, al secondo capitolo, dice testualmente: “Ebbi il mio primo comando di nave dal cap. Antonio Casabona di Camogli, il barco si chiamava ‘N.S. delle Grazie’. Feci un viaggio Mahon-Gibilterra e Mar Nero”. Camogli ha dunque anche l’onore di avere promosso Giuseppe Garibaldi al comando di nave. Egli aveva navigato prima su dei legni marsigliesi e poscia quale “scrivano” sul brigantino “Cortese” dell’armatore Semeria che era nativo della Riviera di Ponente.
Quei ferri arrugginiti e ricurvi ricordano l’incendio del “Croesus” nell’ansa di San Fruttuoso e il meraviglioso olocausto della nostra Maria Avegno, annegata dopo avere salvato tanti naufraghi inglesi. Quel piccolo quadretto rappresenta l’ “Eurasia” grande nave camogliese silurata nei pressi di Vado.
Quella laggiù è l’ “Anna”, degli Schiaffino, silurata in Oceano. Vi lasciò la vita un vecchio e nobile capitano camogliese: Erasmo Assereto. Quest’album racchiuso nel cofanetto contiene le firme di 700 camogliesi, tra capitani, macchinisti, ufficiali, nostromi e orfani di caduti sul mare. Fu offerto tanti anni fa al concittadino macchinista navale Giacomo Razeto, in riconoscenza di tutto quello che egli fece a favore del ceto marinaro, ottenendo dal governo, come ottenne, il doveroso aumento delle pensioni ai vecchi marinai d’Italia.
Vi appose la prima firma un comandante quasi novantenne, ancora vivente, il cav. Giacomo Olivari, antico presidente della società dei capitani e fino agli 85 anni fiduciario dell’Associazione Marinara Fascista. Egli ha al suo attivo ben 45 anni di navigazione effettiva, il che significa che per oltre sessant’anni passò la vita sul mare. Anni fa, il comandante Olivari, accompagnato dal comm. Razeto, si recò a Roma per perorare la causa dei vecchi marinai d’Italia. Quando il ministro, S.E. Costanzo Ciano, sentì che il cap. Olivari vantava 45 anni di navigazione effettiva scattò in piedi e si mise sull’attenti, mentre il venerando capitano piangeva dalla commozione. E aveva le lacrime agli occhi anche il Ministro. Poscia, apprendendo che cap Olivari a 70 anni compiuti, già a riposo, era balzato di nuovo su un ponte di comando per navigare i quattro mari della guerra mondiale proprio nel covo più pericoloso dei sottomarini, nel mare del Nord, allora l’ammiraglio d’Italia, l’uomo dalla medaglione d’oro al valor di marina, non si contenne più e gettò le braccia al collo del camogliese, confondendo le sue lacrime con quelle del vecchio capitano di mare. E giacchè rammemoro l’audace eroe di Cortellazzo – ch’io ho conosciuto in Adriatico al tempo della grande guerra – lasciate che vi dica, ragazzi, che se egli vi trovasse in questo momento tra di noi, forse avrebbe gli occhi umidi di commozione, al contemplare questi bastimenti, molti dei quali vide ancora in Oceano. Perché fu precisamente sui barchi a vela che il marinai livornese forgiò la sua maschia tempra d’ammiraglio d’Italia.
POESIA DEI VECCHI BASTIMENTI MERCANTILI
“Ecco ancora – proseguì il vecchio lupo di mare – l’antico quadro del bastimento ‘Troyan’ degli armatori camogliesi Biagio e Luigi Mortola, i ‘Liggia’. Molti anni fa, quando nel Canadà si iniziò la grande industria del legname, detto bastimento accettò un nolo per uno dei nuovi porti sorti nell’interno del fiume.
Giunto nei pressi di Gulf-Port, trovò alla fonda tre navi, una francese, una inglese e una svedese, i capitani delle quali s’erano rifiutati di proseguire perché, dicevano, avrebbero certamente investito sui banchi di sabbia. Il capitano camogliese Filippo Avegno che comandava il “Troyan” dichiarò che egli, previ sondaggi, avrebbe tentato di entrare nel nuovo Porto.
Per vari giorni lo si vide scandagliare e fare rilievi, finchè un bel mattino, col gran pavese a riva e manovrando come sanno manovrare i marinai d’Italia, rimontò la sconosciuta fiumara ed entrò a vele spiegate nel nuovo porto, gettando sul vergine molo – primo tra tutti – le sonanti catene del barco camogliese.
Lo sceriffo della regione dichiarò cap. Avegno ospite onorario di Gulf-Port, mettendo inoltre a sua disposizione la carrozza ed i valletti del municipio. (Ad onore del capitano camogliese si può aggiungere che le autorità di Gulf-Port si servirono degli scandagli e dei suoi rilievi per compilare la carta nautica della fiumara).
Quell’altro bastimento è stato donato dal cap. Fortunato Razeto, il protagonista del coraggioso salvataggio dei marinai del “Nemesi” e che fu colui che per primo fece conoscere la bandiera d’Italia nel Porto di Endem.
Ecco laggiù il bellissimo “Fratellanza” dei De Gregori. Ai suoi tempi fu uno dei più veloci e rinomati alcioni del mare.
Nelle traversate di Rangoon egli accettava sempre la sfida dei grandi Clippers inglesi, a chi arrivasse prima al Nord-America. Ed il bastimento camogliese, in lotta cavalleresca, arrivò sempre primo. Si perdette, un inverno, nell’Oceano Indiano. I naufraghi, dopo aver percorso 600 miglia con le lance, approdarono ad un’isola di cannibali.
Dovettero asserragliarsi sulla costa, in caverne naturali, e difendersi per ben tre mesi dalle insidie dei selvaggi; furono poi salvati da una cannoniera francese. Fra quei naufraghi che per novanta giorni mangiarono molluschi e radici v’era il capitano Simone Marini ancora vivente ed al quale, dalle colonne del “Genova”- giornale marinaro – mandiamo un deferente saluto.
Quell’incisione rappresenta la scuna paterna sulla quale Simone Schiaffino l’alfiere dei Mille navigò fanciullo e poi baldo ufficiale fino a quando sui campi lombardi non suonò la diana del 1859.
Nell’altra sala si conservano il suo cinturone da ufficiale, la sua sciabola e una pietra che un capitano di mare camogliese raccolse a Calatafimi nel posto ove l’eroe cadde, in difesa di una bandiera e di un’idea!
Quell’altro piccolo quadro riproduce il “N.S. delle Grazie”, del camogliese cap. Bartolomeo Casabona. Giuseppe Garibaldi nelle sue “Memorie”, al secondo capitolo, dice testualmente: “Ebbi il mio primo comando di nave dal cap. Antonio Casabona di Camogli, il barco si chiamava ‘N.S. delle Grazie’. Feci un viaggio Mahon-Gibilterra e Mar Nero”. Camogli ha dunque anche l’onore di avere promosso Giuseppe Garibaldi al comando di nave. Egli aveva navigato prima su dei legni marsigliesi e poscia quale “scrivano” sul brigantino “Cortesia” dell’armatore Semeria che era nativo della Riviera di Ponente.
Quei ferri arrugginiti e ricurvi ricordano l’incendio del “Croesus” nell’ansa di San Fruttuoso e il meraviglioso olocausto della nostra Maria Avegno, annegata dopo avere salvato tanti naufraghi inglesi. Quel piccolo quadretto rappresenta l’ “Eurasia” grande nave camogliese silurata nei pressi di Vado.
Quella laggiù è l’ “Anna”, degli Schiaffino, silurata in Oceano. Vi lasciò la vita un vecchio e nobile capitano camogliese: Erasmo Assereto. Quest’album racchiuso nel cofanetto contiene le firme di 700 camogliesi, tra capitani, macchinisti, ufficiali, nostromi e orfani di caduti sul mare. Fu offerto tanti anni fa al concittadino macchinista navale Giacomo Razeto, in riconoscenza di tutto quello che egli fece a favore del ceto marinaro, ottenendo dal governo, come ottenne, il doveroso aumento delle pensioni ai vecchi marinai d’Italia.
Vi appose la prima firma un comandante quasi novantenne, ancora vivente, il cav. Giacomo Olivari, antico presidente della società dei capitani e fino agli 85 anni fiduciario dell’Associazione Marinara Fascista. Egli ha al suo attivo ben 45 anni di navigazione effettiva, il che significa che per oltre sessant’anni passò la vita sul mare. Anni fa, il comandante Olivari, accompagnato dal comm. Razeto, si recò a Roma per perorare la causa dei vecchi marinai d’Italia. Quando il ministro, S.E. Costanzo Ciano, sentì che il cap. Olivari vantava 45 anni di navigazione effettiva scattò in piedi e si mise sull’attenti, mentre il venerando capitano piangeva dalla commozione. E aveva le lacrime agli occhi anche il Ministro. Poscia, apprendendo che cap Olivari a 70 anni compiuti, già a riposo, era balzato di nuovo su un ponte di comando per navigare i quattro mari della guerra mondiale proprio nel covo più pericoloso dei sottomarini, nel mare del Nord, allora l’ammiraglio d’Italia, l’uomo dalla medaglione d’oro al valor di marina, non si contenne più e gettò le braccia al collo del camogliese, confondendo le sue lacrime con quelle del vecchio capitano di mare. E giacchè rammemoro l’audace eroe di Cortellazzo – ch’io ho conosciuto in Adriatico al tempo della grande guerra – lasciate che vi dica, ragazzi, che se egli vi trovasse in questo momento tra di noi, forse avrebbe gli occhi umidi di commozione, al contemplare questi bastimenti, molti dei quali vide ancora in Oceano. Perché fu precisamente sui barchi a vela che il marinai livornese forgiò la sua maschia tempra d’ammiraglio d’Italia.